Costruttori d’immaginari … GRAZIE!!!

Artigianub … Piazzetta Dante … GRAZIE a tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione del cantiere urbano aperto in Piazza Dante : GRAzie alla Regione Puglia, al Comune di Lecce, alla Scuola Edile della Provincia di Lecce (che ha messo a disposizione la propria struttura spostando i limiti della didattica adottando un cantiere di sperimentazione sociale); GRAziE al Direttore, a Gianni e a tutti i maestri artigiani (Salvatore Signore, Francesco Notaro, Orodé Deoro, Stefania Bruno, Carlo Luperto, Simone Fersino e Luciano Abadessa); gRAZIe ai fornitori (Mapei, Abstilcasa, Vetrerie Calasso, Pisacane srl, RI Costruzioni) che hanno messo a disposizione sia materiale di scarto che materiale di prima scelta; gRaZie ai corsisti che hanno dedicato la propria manualità in cambio di un nuovo sapere; grAziE a Bruno e Dominique e la loro squadra francese che ha soffiato una giovane energia;

graziE a Maira Marzioni e Michela Luperto per aver raccontato il divenire di un luogo;

GRAZIE a tutti gli abitanti ed in particolare GRAZIE Lele che ci ha accolti e ad Attilio per le fragole con la panna; grazie a Luana e alle sue mani; GRAZiE al thé e all’affetto con cui Sandrine, Ketis e Mukundén ci hanno rinforzato; alla signora Raffella e a tutta la strada un po diffidente; grazIe alla fantastica palazzina dove una scala-porta nel cosmo di Sabino, Milena, Enea, Francesca, Yassin, Adriano e Alessandra; gRAzie a Nuzzone grande e ai piccoli; a Mattia, Yuri e Cristiano per essersi messi in campo; a Francesca e Daniele per aver fatto la differenza; a Ilario per averci intrattenuti; GraZie a tutti i bambini che hanno continuato a giocare; a Manuela, Cristian e Francesco per la loro vicinanza vivace; graziE a Maria ed Alessandro; grAzIe a Marcella e al suo canto; grazIe a Mauro e Valentina per Ida ; GrazIe a Giacobbe e alla sua saggezza; al signor Gino e la sua fiducia; grAzie a Claudio, Natalie, Luce e Pace per saper sognare; GRAzie a Piazza Baratto per aver s-cambiato la piazzetta; grazIE alla signora Marisa ed alla sua cucina;  grazie alla Giacaranda e le rampicanti che resistono; e GRAZIE infinite a Carlo, Anna e tutta la famiglia Luperto per la loro grazia infinita !!!

Maschere di Ferro

Maschere dormienti in Piazza Dante

MASCHERE DI FERRO IN PIAZZA DANTE

Maschere vuote

Osservano la gente passare.

Son desti nello scrutare ogni pallonata andata a male,

lacrime di ragazza versate,

sguardi di parole mai pronunciate.

L’uomo coi baffi,

dall’aspetto serio,

non è d’accordo

sul procedere dell’avventuriero.

Il cuore è stato dal ferro bloccato

Chiamate un dottore,

il battito si è fermato!

Una giovane anziana

Con gli occhiali sorride tranquilla.

Maschere vuote,

Maschere nude,

Chissà a chi allude!

Lucide piastrelle

Rispecchiano i vostri volti.

Opachi tra il cemento

Sentite lo scandire del tempo.

Il tempo scorre,

mai resta uguale.

Smettetela maschere di ferro, crescere non è male!

Voi che in silenzio gridate,

voi che cieche guardate,

mai toccherete coi piedi il mare.

E allora,

cosa ne sapete del giocare,

amare, pensare e

dello sperare della gente che,

alcuna indifferente,

vi osserva

rivedendo il proprio viso

e giura

di aver visto, in voi, un sorriso.

Cuore di ragazza

Dall’aspetto malsano,

batti forte

nel pugno di una mano.

Il tintinnio di un cuore di metallo

Non fa meno rumore

Del cuore che batte con affanno.

Maschere inquiete

Dall’aspetto gentile,

accogliete nella vostra pelle

delle rime di soffice sentire:

chi alla luce vi ha dato

con amore vi ha modellato

e ho quindi, forse, sbagliato

nel non averlo considerato.

Voi di amore sapete,

Quanto il lavorio delle menti quiete

E delle mani di chi sa fare il suo mestiere.

Maschere di ferro

Paura non fate più.

Nella vostra nudità,

Il vuoto non lo vedo più.

Michela Luperto_ maggio 2013

 

Struttura di supporto alle recinzione del campo di calcetto. Opere realizzate da Simone Fersino progettate  con l’architetto Afro Carpentieri per Piazza Dante Alighieri

Respiri profondi

Il respiro di Piazza Dante

Polmoni, milza fegato, e  reni erano ieri il bersaglio dello Zen Stretching tenuto in piazza Dante.

Un viaggio dentro di noi per comprendere meglio quello che è fuori di noi, la persona che ci è vicina e averne un contatto.

E’ una parola che spesso sottovalutiamo. Non ci rendiamo conto che non siamo nati per vivere con un cellulare in mano o correre veloce per andare da nessuna parte, ma per unirci e diventare un capolavoro.

In piazzetta Dante sono cambiate molte cose o forse non è cambiato nulla, ma è cambiato il mio punto di vista. Guardare tutto da un’altra prospettiva, facendo cose di cui non sapevi l’esistenza o di cui l’esistenza era nota ma ignoravi, mi dà una grande soddisfazione.

E ti rendi conto che tutto ciò che hai fatto o detto non vale niente se è l’unica cosa che hai fatto o detto nella tua esistenza. Aprire le braccia e accogliere ciò che ognuno può insegnarti ci permette di costruirci le basi per qualcosa che è inevitabile.. facciamo quello che fanno i fiori a primavera: fioriamo e tutti colorati ci facciamo baciare dal sole  e danziamo con il vento.

Stare a piedi scalzi su un tappeto di cartone o sull’asfalto che copre la terra, ci ha messo in stretta comunicazione con la vita.

Piazzetta Dante, popolata da anziani e giovani che forse non si sono mai fermati a domandarsi perché questa piazzetta è stata così popolata ma in realtà abbandonata, vuota dentro.

Per questo motivo parti con una valigia di risposte e cerchi di fare ciò che sembra utile e ti accorgi che c’è qualcosa che non và. Come una catena che ha perso il suo anello. Un problema. L’abbiamo cercato e non l’abbiamo trovato. Dov’è?

A me sembra di averlo trovato, nel senso che: se riesci a migliorare te stesso e  a renderti conto dell’inutilità di tutto il resto, ti fa comprendere che non respiriamo tanto per respirare.

E pensare che tutto è partito da un’idea.

Le idee.. è bello che chi l’ha avuta abbia voluto condividerla, perché solo così abbiamo potuto e possiamo tutti in futuro, levigare gli spigoli più grezzi.

Mi sento di poter dire che il lavoro con le piastrelle è stato, forse, un pretesto.

Un pretesto voluto intenzionalmente o accaduto per volere del fato, ci ha comunque insegnato qualcosa e continua a farlo con queste attività mai viste sul suolo di questo quartiere. Abbiamo preso un’altra strada, anzi, un sentiero. Non so dove ci porterà questo sentiero, ma voglio andare più piano e godermi il paesaggio..

Michela Luperto (giovane abitante della Piazza, scrittrice e costruttrice dell’immaginario)

La piazza vive, l’opera è di tutti!

Tra terra e cielo in Piazza Dante

Oggi piazza dante non è piu il luogo di un progetto, non appartiene più a nessuno ma solo alla creatività di chi ha voglia di viverla…

L’immaginario continua a scriversi!

Seminari Gratuiti di Zen Stretching e Contact Improvisation condotti da Sabino Tamborra e Nathalie Corapi

La collaborazione nella costruzione ha fatto che un iniziativa diventi un’ opera.

L’arte non è materia finita ma processo in divenire!

L’arte è possibilità!

Zen Stretching condotto da Sabino Tamborra
Contact Improvisation condotto da Nathalie Corapi

Nasce il comitato di quartiere di Piazza Dante per seguire le attività, le evoluzioni, le pratiche, le cene e tutto ciò che questa piazza genera:

http://www.facebook.com/ComitatoDiQuartierePiazzaDanteLecce

il dito di Lola è JANUB

Lola, la piccola costruttrice dell’immaginario.

Sono quasi le sei sotto un cielo senza ombre, la piazza è ancora vuota. Siamo al margine del quartiere San Pio, quasi a ridosso della ferrovia, nella piazza che l’associazione Janub, di Claudia Mollese e Afro Carpentieri, sta ri-progettando e ri-costruendo ormai da mesi per restituirla agli abitanti.

E’ da un po’ che non venivo a trovarla la piazza, che i luoghi bisognerebbe andarli a trovare come si fa con la nonna o con l’amico che sta sempre chiuso in casa. E’ spuntato nella piazza un albero in ferro battuto, con specchi colorati come frutti luminosi e una foglia a fare da tettoia al tavolo e poi il colore dei mosaici che sta entrando sempre di più nel grigio dei mattoni e del cemento.

L’albero appare come un segno a carboncino, accanto all’enorme palma che svetta lì accanto, lei risente del vento, lui invece disegna riflessi quasi impercettibili con gli specchi.

Quell’albero pur essendo non vero ha un riserbo che la palma non ha, un passo delicato, una postura  timida. Questa piazza ha in sé un passo lento, piccolo, aperto agli imprevisti del viaggio, in questo si allontana da tutto ciò che viene abitualmente costruito o ristrutturato in città.

Lo vedi subito: non ti salta agli occhi per sorprenderti, vuole che ti avvicini, che la guardi, che ti chiedi, che ti ci siedi dentro.

La piazza è bella, di una bellezza senza spocchia: le linee dei mosaici le decidono insieme Afro, l’architetto, Claudia, l’antropologa e Adriano e Carlo che da giugno sono i nuovi capi cantiere, ma anche la figlia giovane di Carlo che sta aiutando e chiunque si trovi a passare. Adriano e Carlo vivono ai lati opposti della piazza, entrambi si affacciano lì. Adriano insegna fisica all’università, Carlo è piastrellista, marmista, uomo di mani. Quando a giugno la situazione era stanca, poco interesse da parte del comune, calo delle energie, pochi contributi manuali, hanno convocato un’assemblea di abitanti in cui è stata spiegata la situazione. Da allora hanno deciso in molti di venire il pomeriggio e lavorare per finire la piazza.

Un simile processo in un’altra città o in un altro paese avrebbe già un equipe di studiosi universitari pronti a studiarla, ma qua siamo ai margini di tutto, nel finale della cancrena, nel regno dell’estetizzazione barocca, che il vero non abbiamo occhi per vederlo.

Mi domando perché una città non sa cogliere i gesti in dettaglio. Può davvero il governo di una città ignorare che Lola con un ditino piccolo, alle otto di sera, toglie premurosa e precisa la calce che fuoriesce da una pietruzza di mosaico?

Esiste una vera politica della bellezza?

Che solo per quel gesto minimo si dovrebbe immaginare una città nuova, un modo nuovo di fare, di agire, di stare.

Il dito di Lola è Janub. Un progetto che è passato dalle maglie strette dell’istituzione per provare, collaborando, a riportarci un valore, un fiato di progettazione vissuta, di costruzione sensata e desiderata, di dismissione di ruoli e gerarchie.

L”amore per i luoghi non entra nelle stanze dei poteri. Il localismo può essere una coperta pesante che invece di lasciare aperte i pertugi, li sfrutta per imbellettarsi e aumentare il proprio prestigio.

I gesti minimi quasi mai entrano nelle logiche urbane, eppure l’abitare nasce da gesti minimi.

Come quando entri in una casa nuova e appendi un poster di Dalì o o come quando finisce un amore e ti metti a smontare mobili, a cambiare le stanze.

L’urbanistica relazionale non dovrebbe tendere a questo? Cogliere le pratiche vitali dell’abitare per farne occasione di spazio pubblico realmente vissuto. Che una piazza se non ci sono le persone dentro, che si siedono si scambiano parole, sguardi che senso ha?

Che un turista ci può passare, dire che è bella e fare una foto, ma se nessuno la abita cosa resta?

In quella piazza di San Pio la città respira e pochi lo sanno, pochi sono andati a vedere che vento tirava, a lasciarsi sorprendere, osservare un pomeriggio di lavoro per comprendere, per capire.

Un’amministrazione normale o un qualunque movimento alternativo di città dovrebbe passare da qua, dismettere la giacca e la camicia di circostanza e sedersi. Stare, aspettare, ascoltare, sospendere il giudizio, imparare. Nessuna estetizzazione solo stare e farsi dire.

La piazza non è ancora finita e già c’è chi ci sta seduto: Mattia, un ragazzo che ha lavorato qua molti mesi, il cane, gli amici e Lele The Artist, la sola firma che compare in una panchina, che il suo amore per i colori delle reclàme dell’Ipercoop l’ha trasformato in pezzi colorati da accostare uno accanto all’altro.

Questa città che insegue titoli inneggianti alla cultura, al turismo tutto l’anno, ai giovani, si perde Lele, Mattia, Carlo, Adriano, Lola, gli abitatori veri, gli artisti del quotidiano, quelli che non hanno titoli, che vivono, si affacciano, giocano sulle scale, bevono birra sulle panchine e quando c’è bisogno si siedono in terra sotto la calura di luglio e si sporcano le mani di calce, trasportano bidoni, per dare bellezza a un pezzo del loro quartiere.

In questo la città non riesce a specchiarsi, non si guarda, non sa riconoscersi.

Non c’è tregua per chi impiega le mani con negli occhi un sogno, una visione. Non abbiamo parole per stare nella porosità dei saperi, strategie politiche per dare forma alla bellezza. Ognuno osserva dalla sua categoria claustrofobica senza mettere un dito per togliere la calce in eccesso e lasciare pulita la linea ondulata.

Maira Marzioni, articolo pubblicato sul quotidiano “il Paese nuovo” l’ 11 luglio 2012

Con una piazzetta da rifare, non ci sono idee da buttare…..

Un dì sereno

ad un giovane condottiero insieme alla sua spalla

venne in mente una palla.

E’ una palla, è una sfera,

nessuno capì cos’era!

Dopo tanto lavoro

tutto iniziò ad avere un tono,

così, la brava gente iniziò ad apprezzare

e decise che da quel momento avrebbe voluto aiutare.

Non poche ostilità hanno dovuto affrontare

ma con delle firme hanno saputo fronteggiare

e così, il nemico sconfitto a casa dovette tornare

e di gioia iniziarono ad urlare.

Urlarono non poco,

ma non sempre di gioia

a causa del duro lavoro.

Gli insulti dall’alto a poco son serviti

perché i lavori erano quasi finiti.

Ma il comune dell’orecchio mancato, disgraziato,

ben poco ha stanziato,

ma rabbia e sgomento non hanno preso il sopravvento:

ed ecco la comparsa dei cavalieri

che a causa dei quaranta gradi non si reggevano in piedi.

Stucco e piastrelle colorate

non andavano lavate

bensì attaccate e levigate,

giusto per avere le menti sempre allenate!

Le perplessità del condottiero

a volte disorientava

ma la pazienza della spalla a tutti dava una calmata.

“Tra una settimana finiamo” , disse il saggio,

e il sudore affrontarono con coraggio.

Disse dopo: “Non tra una settimana finisce il gioco”

e nessuno si sentì di fare corone d’alloro.

Il gioco è ormai divertente

ma ancora non c’è qualcuno che ci scommette un dente

per l’impresa impertinente.

Eccitati furono infine,

perché venne il capo edile!

“ La svolta è segnata” , disse la gente consolata.

Ma una sorpresa ci attendeva:

un articolo uscito una sera,

così diceva: “piazzetta inaugurata, ora vado a fare una passeggiata!”

e la gente risposte disgustata.

“ E noi continuiamo”, disse uno,

e non si sentì lamento alcuno.

Continuarono con il caldo estenuante

Senza mai perdere ciò che è importante:

se un impegno viene accettato

sempre a termine deve essere portato,

e il condottiero, la sua spalla e la gente dell’Idria non l’hanno dimenticato.

Michela Luperto (giovane abitante della piazza e costruttrice dell’immaginario) 

Costruttori dell’immaginario

Una nuova fase di Piazza Dante si è aperta in questi giorni.

Nel mese di giungo abbiamo incontrato difficoltà a continuare i lavori senza risorse economiche. Ci siamo trovati in pochi a lavorare con ritmi stanchi, delusi dalla lentezza delle risposte delle istituzioni partner del progetto.

Una risposta forte pero è arrivata, quella che più desideravamo e che ha ridato energie e senso al nostro tentativo di costruzione dell’immaginario. La risposta è arrivata dal basso.

Gli abitanti della Piazza hanno indetto una riunione, un assemblea per capire l’avanzamento dei lavori. Hanno deciso che una piazza di periferia dove si sperimentano tensioni tra il vivere e il costruire attraverso l’arte, merita una risposta e merita la loro attenzione. Ci hanno chiesto cosa avrebbero potuto fare per aiutarci, hanno proposto la creazione di un comitato di quartiere e l’”occupazione lavorativa” il pomeriggio. I pomeriggi successivi la piazza si è ripopolata, abbiamo lavorato in tanti. Le barriere del cantiere hanno finito di essere un limite per chiunque.

Il passaggio dal dire al fare è avvenuto. Non parlo del lavoro, ma della volontà di costruire e fare città, una città nuova che si distacca da quella delle speculazioni edilizie che violentano il territorio e legittimano l’agire umano nel suo costruire per accumulare. Nella città che stiamo costruendo, in tanti ci sediamo a tavolino e decidiamo quali giochi costruire, parliamo di budjet senza avere paura di non poter estrapolare quel qualcosa di più, noi progettisti siamo in piazza per sollecitare idee e agire e non per imporre un disegno o un costrutto; in questa città gli abitanti esercitano quella “democrazia dal basso” di cui fa quasi paura parlare in questo sud, gli abitanti decidono che la sperimentazione sociale e abitativa dello spazio pubblico è interessante e vale la pena continuarla, che insieme possiamo costruire l’immaginario di quel luogo.

Locandina incontro abitanti

Racconti in ritardo…

Siamo stati assenti dalla rete negli ultimi mesi, presi dai lavori in piazza.

Composizioni di Lele

In questo tempo ci siamo dedicati alle attività di formazione, alla costruzione delle opere e alla creazione di un ingranaggio (fatto di relazioni, materiali ed economie alternative) che ha fatto avanzare la macchina della costruzione.

Abbiamo recuperato il materiale da cantiere e messo insieme tutti gli attori che hanno permesso la realizzazione di un opera urbana senza l’esistenza di un contributo destinato alla ristrutturazione della piazza. Il nostro laboratorio ha messo a disposizione il finanziamento del bando Principi Attivi e ha trovato le risorse attraverso un sistema di sponsor (Mapei, Abstilcasa, Vetrerie Calasso, Pisacane srl, RI Costruzioni, Lupiae Servizi). Ogni attore coinvolto ha partecipato al processo di costruzione dello spazio pubblico : i corsisti hanno dedicato la propria manualità in cambio di un nuovo sapere, i fornitori hanno messo a disposizione sia materiale di scarto che materiale di prima scelta a favore di una sperimentazione artistica, la Scuola Edile di Lecce ha messo a disposizione la propria struttura spostando i limiti della didattica e facendo con noi dell’edilizia un cantiere di sperimentazione sociale.

Aspettiamo invece delle risposte concrete dal Comune di Lecce che ad oggi non ha mantenuto i propri impegni finanziari.

Entriamo nel racconto.

I primi passi sono stati lenti.

In parallelo agli incontri e alle assemblee con gli abitanti del quartiere, dal mese di settembre fino a gennaio abbiamo sviluppato la proposta progettuale per far diventare il largo da semplice verde stradale a verde attrezzato. Abbiamo combattuto burocrazia e autorizzazioni, preparato gli elaborati grafici e le relazioni tecniche per passare un consiglio comunale e essere l’oggetto di tre successive delibere di giunta favorevoli al progetto di ristrutturazione. Non è stato facile per un laboratorio giovane ottenere tutte le autorizzazioni e trovare il modo per appropriarsi della città riuscendo a non farsi bloccare dai meccanismi e le lentezze che regolano le dinamiche amministrative.

Piazza Dante Alighieri Lecce variante urbanistica

Piazza Dante Alighieri Lecce progetto architettonico

Una volta ottenute le autorizzazioni grazie al partenariato della Scuola Edile di Lecce abbiamo aperto il cantiere. Abbiamo iniziato con bomboletta, filo, cordino, chiodi, martello e pazienza. Sono questi i primi ingredienti con cui abbiamo tracciato il dipinto architettonico.

A causa della difficoltà di definire chi parla e chi lavora in piazza, consentite plurali e singolari, intrecci e sdoppiamenti.

Il primo corso di formazione è stato quello di muratura che si è svolto nel mese di febbraio. Abbiamo modellato il tufo attraverso l’utilizzo di “strazza” e “mannara”. A partecipare al corso e a realizzare le opere sono stati: Alessandro Gerbino, Alessandro Manta, Luana Mastria, Francesco Ciriolo, Mattia Marsano, Imran Khan, Golamreza Aras e Lorenzo Bertelli.

Anche noi progettisti e disegnatori della piazza abbiamo lavorato e condotto la costruzione delle opere, Afro ha architettato con mani le proprie idee e Claudia ha intrecciato legami tra gli attrezzi, i costruttori e gli abitanti.

Orientati dalla voce possente di mastro Salvatore Signore e di mastro Francesco Notaro, maestri della Scuola Edile di Lecce, nonostante freddo e intemperie abbiamo iniziato i lavori edili. Strazza, taglia, intarsia, batti, getta, mena, la cariola, la cariola … e piano piano si costruiva. Tra urla e sorrisi, pizzi e olive si iniziava a contemplare, poi criticare, cambiare, riguardare, chiacchierare la forma e la materia.

E mesciu Totu inizia a passare, la signora Raffaella a guardare, Lele a osservare, il Papa a gridare, Attilio ad entrare… Dobbiamo dire che durante i mesi di progettazione sarà per la macchina d’epoca che ci ha accompagnato (una Fiat 127 del 1977), sarà per le ciabatte dell’architetto o forse per la parola antropologia, che nessuno si aspettava che quei disegni portati in risposta alle richieste, diventassero un cantiere vero e particolare.

La Piazza in Piazza!

Durante il corso di muratura abbiamo tirato su il poeta, una grande chaise longue che abbraccia un neonato albero di giacaranda e guarda ad un’apostrofo di pietra. Il poeta, successivamente a delle dicerie di quartiere per cui restava solo la p e diventava un polipo (retaggio e archetipo culturale) e in risposta alle perplessità di alcuni abitanti preoccupati dalla monumentalità dell’opera, è stato decapitato. Dopo varie assemblee, “abbiamo tagliato la testa al polipo” e siamo andati avanti sotto lo sguardo dei passanti. Due nuove sedute dalla forma femminile hanno abbracciato una sfera che ha sfidato la pazienza di molti lavoratori : all’inizio era un cubo di pietra di 80cm di lato posto in sito da mastro Salvatore che ha ben agito nell’armarlo, poi passa e taglia Francesco, un dodecagono irriverente sfida le braccia di Alessandro, che tra sudori invernali crea un oggetto tendente ad una sfera. Claudia e Luana hanno accompagnato con “strazza e mannarra” la questione della rotondità iniziando a prendere le posture da “fabbricature” che col tempo hanno assunto definitivamente. La rotondità della sfera non soddisfaceva l’architetto Afro, che ha quindi sfidato la sua forza, si sa che le curve attirano le mani! Anche i forestieri d’oltre Alpi (di cui vi racconteremo successivamente) condotti da Dominique si sono persi alla ricerca della forma perfetta. Le sedute, cosi come il poeta hanno beneficiato di sforzi e amore, Alessandro, Imran e le fabbricature si sono dedicati alla questione della pietra. Da una parte mannara e strazza dall’altra i lavori pesanti, Mattia, Golamreza, Afro, Alessandro e Lorenzo hanno tagliato le viscere del pavimento e delle aiuole muniti di martelli, scalpelli e flessibili. Francesco addetto alla “conza” e al cemento è stato il compagno di avventure di Gialla, la betoniera canterina.

Le aiuole che fatica, il massetto che lavoro e che pazzia ripensare lo spazio pubblico!

Finito il corso le opere erano incomplete. Il contributo dei corsisti era stato grande, ognuno ha costruito un pezzo di città, ma bisognava andare avanti. I materiali c’erano, Achille e Luigi pure (cementi e collanti Mapei), Walter da Taviano inviava piastrelle e i saluti dei magazzinieri (Fernando e Mino di Abstilcasa), gli entusiasmi degli abitanti crescevano, il direttore della Scuola Edile fuggiva alle nostre richieste dando sempre la più grande disponibilità nei fatti e nelle risposte, Gianni della Scuola brontolava di fronte alla nostra irrequietezza ma ogni giorno veniva e ci accontentava… tutti eravamo li per costruire questo sogno. Luana, Mattia e Francesco pure, diventati pilastri portanti nella creazione dell’opera!!! Da due eravamo diventati tanti… ma non abbastanza per non sentire la fatica di costruire volontariamente.

Marzo pazzerello guardi il sole e incolli ogni tassello!

Finito il corso di muratura ha preso il via quello di mosaico. Se per caso in quel mese costeggiavi la linea della ferrovia e arrivavi in cantiere ti trovavi difronte ad una manifattura improvvisata. Colomba Elisa, Di Marco Maria Grazia, Miggiano Mariangela, Monaco Fernanda, Nuzzaci Donato, Pallara Annaelisabetta, Raho Ornella, Sanasi Vincenza, Scarcella Lucia, Sposato Adelina, Recchia Adriana, Durante Lorenzo, Viva Francesco, Marzioni Maira, hanno formato il gruppo dei mosaicisti. I corsisti, guidati nella tecnica da Orodé Deoro e Stefania Bruno, hanno realizzato i mosaici delle aiuole appena costruite decorando un pezzo di città.

Nello stesso mese il cantiere ha accolto una squadra di 12 ragazzi francesi accompagnati da due educatori. Provenienti dalla Scuola Edile di Caen, i ragazzi hanno trascorso 3 settimane a costruire con passione il tavolo di quartiere e grazie alla loro giovane forza e le conoscenze dei loro maestri hanno completato le opere di muratura. Qualcuno di loro si è anche cimentato nel mosaico rivelandosi abile e veloce! Per noi è stata una ricca collaborazione che ha portato forza e entusiasmo alla piazza. Bruno e Dominique (i due insegnanti) sono stati un grande esempio di passione nella didattica, i giovani costruttori un energia contagiosa. I ragazzi del quartiere hanno stretto amicizia e amori con i forestieri vedendo la loro piazza diventare un luogo di incontri improbabili.

Finiti i corsi e ripartiti i francesi, restava ancora molto da mosaicare. Armati di tenaglia, taglierina, martelli, scalpelli, flessibile, piastrelle e tanta colla siamo andati avanti : Claudia, Afro, Luana, Orodè, Stefania, Mariangela, Francesco e Mattia, pezzo dopo pezzo l’opera avanzava.

Nel mese di aprile abbiamo mosaicato il mappamondo con un punto di vista inconsueto, la linea che abbraccia la palma e la linea enfatica. Ogni tanto Carlo Luperto, il piastrellista che abita sulla piazza ci ha guidati e ci aiutati.

Claudio, Alessandra, Adriano, Riccardo, Francesco, Anna, Jacobbe, Michela, Cristiano, Mauro ci hanno incoraggiato…Sono stati tanti gli abitanti che hanno iniziato a collaborare con il cantiere.

E Lele …. The artist!

Dal mese di marzo ogni giorno compresi i festivi, Lele continua a produrre metri quadri di mosaico sperimentando le sfumature del colore. Il quartiere lo conosce da sempre, in passato come improvvisato vigile urbano orientava il traffico nel senso unico della piazza, poi come batterista di Celentano sul cruscotto della macchina, negli ultimi mesi come fedele lettore delle reclami della Coop e oggi come il più convinto, assiduo, instancabile costruttore di sogni. Lele dopo la timidezza dei primi giorni e l’impaccio della tenaglia ha costruito il suo posto di lavoro e ha trovato il materiale per esprimersi. Quotidianamente compone delle tele e da forza a chi lavora.

Di più, di meno, apposto, esatto, infinito!

Maggio.

Il caldo ha preso il posto della pioggia , il tempo è cambiato ma la gentilezza di Sandrine è rimasta. Dalla sua cucina odori di spezie e pietanze lontane ci portano altrove, influenzando la scelta dei nostri colori. Ogni giorno Sandrine con un grande sorriso ci offre il the, Mukundè viene a recuperare il vassoio vuoto e Lele chiude la recinzione. Il disegno è discusso in famiglia il lunedi sera, dalla finestra della loro casa guardiamo la piazza mentre assaggiamo i piatti tipici della cucina di Ceylon e Ketys ci incoraggia ad assaggiare e procedere nel lavoro.

Sandrine è un ottima cuoca, nulla da togliere alle fragole con la panna di Attilio e i caffé portati dalle cucine adiacenti al largo.

Mentre restiamo a lavorare in pochi, sono in tanti gli abitanti che si prendono cura di noi : caffè, gelati, sorrisi, e anche il corso di zen stretching di Sabino la cui finestra si affaccia sul cantiere!

Il corpo si risveglia e ripensa il lavoro …

Afro, Claudia, Mattia, Luana e Lele!

La mattina si tiene alto il tempo del mosaico, coprendo i piedi delle sedute e componendo la panchina con le composizioni di Lele, il pomeriggio Carlo aiutato da Mattia seguono nella stuccatura interrotti dal via vai degli altri abitanti che cominciano ad aprire le recinzioni di cantiere e con il pretesto della domanda “Ma quando finite?” iniziano ad usufruire della nuova piazza in costruzione … Per poter terminare il prima possibile e restituire il luogo a chi lo domanda in cinque lavoriamo per tanti, aumentiamo costantemente il passo e camminiamo nella costruzione del luogo di un sogno, il sogno della piazza de “lu menzaricchia”. Siamo stanchi ma bisogna terminare e per portar a termine le opere, Luana mattina e pomeriggio si dedica con precisione a ogni tassello di mosaico. Luana, ha partecipato al primo corso di muratura, poi sedotta dal quartiere (dove a breve andrà a vivere) e dalle dinamiche del cantiere ha deciso che avrebbe costruito la piazza fino alla fine. Dal capo di Leuca tutti i giorni trasporta la sua bravura e la sua tenacia e offre alla città la sua manualità artigiana e il suo sorriso. Anche Mattia, giovane abitante della piazza crede nella costruzione di un luogo nuovo per tutti i suoi vicini. Ogni mattina da quattro mesi è lui che apre il cantiere e si cimenta con le opere rivelandosi abile nel costruire e audace e costante nella trasformazione della piazza.

Noi li seguiamo sotto il sole che arrossa i corpi e rimanda al fuoco. L’ultimo elemento è arrivato in piazza, l’ultimo corso è iniziato questa settimana, è il tempo del ferro battuto. Simone Fersino guida i corsisti nella realizzazione delle opere in ferro : Assane Faye, Ba Mamadou, Bianchi Guglielmo, Hosseini Milad, Liaci Francesco, Marzioni Maira e Moharrami Mehdi si cimentano con saldatrici, forgia, martello, morse ed incudini …

Il processo di costruzione è stato lungo, siamo arrivati al momento della sintesi in cui gli elementi costruiti iniziano a svelarsi nella loro integralità meravigliando e soddisfacendo le attese della maggior parte degli abitanti.

Il nostro laboratorio sta rispettando il proprio impegno terminando la ristrutturazione della parte centrale della piazza che presto sarà restituita agli abitanti.

Il nostro lavoro continuerà per far rispettare l’impegno preso dal Comune che prevedeva la ristrutturazione delle altre due aree e la costruzione delle aree da gioco.

Per questo dovremo essere in tanti!

La piazza in piazza, si griderà!

JANUB raccontato al sole

Antidoti al dolore per le vie della città

Se ti sale lo scuro dentro anche il primo giorno di primavera del terzo mese dell’anno, quando il sole è quasi scandaloso, chiaro e inequivocabile puoi sederti su una panchina, accanto a Janub.

Janub è sud in arabo, e questo è sole da sud di pelle legnosa. Janub è un’idea colorata che attraversa mente, corpo e arriva fiera e onesta nelle mani.Marmellata molteplice e succosa.

Da febbraio Janub si è fatto cantiere che, fuori dalle retoriche della riqualificazione partecipata, crea dispositivi semplici per ricostruire l’arredo di una piazza marginale della città. Siamo a Piazza Dante, alla periferia del quartiere San Pio, non ancora Rudiae, due traverse più in là c’è la ferrovia. Una piazza in un confine, che si muove ora con passi precisi e cadenzati, un ritmo scandito dal lavoro con le mani: impasto, linee sinuose, per ridare movimento a un corpo-piazza stanco.

Il progetto nasce da osservazioni e assemblee con gli abitanti, ha superato ostacoli, perchè ha convogliato i desideri di chi abita con quella piazza accanto ogni giorno: bambini, giovani, famiglie migranti, anziani. Dai desideri è nato un disegno, una nuova postura e ogni mattina un gruppo variegato di persone impara l’arte della muratura, del mosaico, del ferro battuto, facendo, dando vita a una piazza nuova.

Un’ architettura desiderante.

Le maestranze artigiane con mani callose si mescolano all’occhio colorato dell’artista, al lavoro dei ragazzi e delle ragazze che riscoprono nella fatica fisica il sollievo dalle paranoie della mente.

Ecco, se poi ti siedi nella panchina accanto, oltre la rete porosa del cantiere, ascolti il silenzio del vento che fa sembrare suono il rumore della betoniera per il cemento, della flessibile che taglia. Se guardi bene poi ti accorgi, che in una di quelle panchine, più o meno ogni giorno, c’è una busta bianca di plastica con un nodo. Ci intravedi dentro un plico di reclàme dei supermercati. Se aspetti dopo poco, quasi sempre alla stessa ora, vedrai apparire Lele. Arriva con una giacca marrone e un cappello verde da cacciatore che gli copre gli occhi quasi orientali, spuntano sotto labbra grandi. Si siede nella sua panchina, ha sottobraccio un’altra reclame. Si mette a gambe incrociate e la sfoglia. Se per caso mai ti sia sembrata inutile tutta quella carta sprecata per pubblicizzare prodotti per lo più dannosi,  puoi metterti ad osservare Lele che con gesto di cura, ne sfoglia ogni pagina. Ti sembrerà a quel punto il più prezioso dei cimeli cartacei. Quando i colori finiscono Lele si alza, lascia la busta lì. Tornerà. Quando lo vedo tornare dal suo giro mi osserva. Prima non c’ero, c’era solo il suo rituale, la panchina, la rèclame. Ora invece prende la busta e si avvicina alla mia panchina. Lo guardo, sta fermo in silenzio, mi guarda. Lo saluto, sorride allora. O meglio espande un sorriso che partendo dalla bocca senza incoerenza di pelle gli arriva alle rughe degli occhi, gli innaffia l’iride. E’ un momento, un gesto pronto, di coerente bellezza del viso. Gli chiedo se vuole sedersi, si, risponde, si siede accanto, nella nostra panchina. Mi prende la mano, la lascia. Me la appoggia sul ginocchio. Mi imbarazzo, ma lui no, lui è felice.Mi saluta, si alza e se ne va con la sua preziosa busta in mano. Mentre si allontana di spalle gli vedo ancora il sorriso da primavera in faccia.

Lele alle prese con il mosaico

C’è un sole scandalosamente vero, vicinanza, Gli occhi degli altri sono indispensabili a comprendere un luogo”.

Janub è un infra-spazio, è cantiere strano, dove dentro ci sono persone e non pedine lavoranti, dove i ruoli si mescolano in continuazione, dove le panchine nuove, quelle in costruzione, hanno linee femminili, dove la rèclame del supermercato diventa prezioso giornale e dove Lele è abitante che costruisce ogni giorno, con un rituale piccolo e aperto al mondo, un modo speciale di stare.

Lele, la sua panchina e le sue rèclame

Urbanismo dei rituali minimi.

Janub, Boh? Oh!

Maira MARZIONI


Frammentazione della materia negli interstizi dello spazio-città

E’ come se lo sguardo attento si perdesse nella manuale laboriosità, è un altrove che produce sorriso, è una serialità di tenaglie che frammentano la materia modellandone la forma.

Corso di mosaico in piazza Dante Alighieri, Lecce

Il corso di mosaico che si sta svolgendo in questi giorni, tenuto da Orodè Deoro e da Stefania Bruno, è composto quasi completamente da donne.

Proprio li, ai piedi delle ex-manifatture, tra le case costruite per offrire  alloggio alle lavoratrici del tabacco che le mani femminili si rimettono in azione per costruire un pezzo di città dove la bellezza nasce dal confronto e dove il dialogo  incoraggia l’armonia della creazione.

Piazza Dante Alighieri diviene sempre più cantiere sperimentale dove ogni persona perde la distanza dal costruire e osserva le capacità delle proprie mani.