Merry Christmas and a Happy new year

 

Umberto Galimberti parla diHomo consumens” di Zygmunt Bauman

A tenere insieme la «società liquida», come la chiama Zygmunt Bauman, oggi è l’intreccio «produzione e consumo», due aspetti di un medesimo processo, dove decisivo è il carattere circolare del processo, nel senso , che non solo si producono merci per soddisfare bisogni, ma si producono anche bisogni per garantire la continuità della produzione delle merci.
All’inizio e alla fine di queste catene di produzione (di merci e di bisogni) si trovano gli esseri umani, instaurati come produttori e come consumatori, con l’avvertenza che il consumo non deve essere più considerato, come avveniva per le generazioni precedenti, esclusivamente come soddisfazione di un bisogno, ma anche, e oggi soprattutto, come mezzo di produzione. Là infatti dove la produzione non tollera interruzioni, le merci “hanno bisogno” di essere consumate, e se il bisogno non è spontaneo, se di queste merci non si sente il bisogno, occorrerà che questo bisogno sia “prodotto”.
A ciò provvede la pubblicità, che ha il compito di pareggiare il nostro bisogno di merci con il bisogno delle merci di essere consumate. I suoi inviti sono esplicite richieste a rinunciare agli oggetti che già possediamo, e che magari ancora svolgono un buon servizio, perché altri nel frattempo ne sono sopraggiunti, altri che “non si può non avere”. In una società consumista come la nostra, dove l’identità di ciascuno è sempre più consegnata agli oggetti che possiede, i quali non solo sono sostituibili, ma ” devono ” essere sostituiti, ogni pubblicità è un appello alla distruzione.
Si tratta di una distruzione che non è la “fine” naturale di ogni prodotto, ma “il suo fine”. E questo non solo perché altrimenti si interromperebbe la catena produttiva, ma perché il progresso tecnico, sopravanzando le sue produzioni, rende obsoleti i prodotti, la cui fine non segna la conclusione di un’esistenza, ma fin dall’inizio ne costituisce lo scopo. In questo processo la produzione economica usa i consumatori come suoi alleati per garantire la mortalità dei suoi prodotti, che è poi la garanzia della sua immortalità.
Si conferma così il tratto nichilista della nostra cultura economica dove il consumo, costretto a diventare “consumo forzato”, eleva il non-essere di tutte le cose a condizione della sua esistenza, il loro non permanere a condizione del suo avanzare e progredire.
Ma una società che si rivolge ai suoi mèmbri solo in quanto consumatori, capaci di rispondere positivamente alle tentazioni del mercato per mantenerlo attivo e scongiurare la minaccia della recessione, crea, secondo Bauman, una nuova classe di poveri che, a differenza di quelli di un tempo, che tali erano perché non riuscivano a inserirsi nei processi di produzione, oggi sono colpevoli di non contribuire al consumo e, in quanto non consumatori o consumatori inadeguati e difettosi, sono un peso morto, una presenza totalmente improduttiva. Configurandosi come una pura perdita, un buco nero che inghiotte servizi senza nulla restituire, con i poveri, per la loro inutilità e perché nessuno ha bisogno di loro, si può praticare la”tolleranza zero”. Si può bruciare le loro tende, come è avvenuto a Milano con i rom, non per ragioni razziali come è facile credere e propagandare, ma perché, nella società dei consumi, la povertà è inutile e indesiderabile. L’unica via attraverso la quale i poveri potrebbero riscattarsi è quella che conduce al centro commerciale, dove potrebbero ottenere, se non la riabilitazione, almeno quella “libertà condizionata” dal loro accettabile consumo. A questo siamo giunti, e Bauman, con questo suo ultimo libro, ne fa una precisa e spietata denuncia

Programma bioeconomico minimale

“… Dovremmo liberarci dalla “sindrome Circolare del rasoio elettrico”

Nicholas Georgescu-Reogen

Programma bioeconomico minimale sviluppato da Nicholas Georgescu-Reogen

“…Sarebbe stupido proporre la rinuncia completa al comfort industriale dell’evoluzione  esosomatica. L’umanità non tornerà nelle caverne, o, piuttosto, agli alberi. Ma vi sono alcuni punti che potrebbero essere inclusi in un “programma bioeconomico minimale “:

  • La produzione di tutti gli strumenti di guerra, non solo la guerra stessa, dovrebbe essere proibita completamente
  • Grazie all’uso di queste forze produttive, e per mezzo di misure aggiuntive ben pianificate e oneste, bisogna aiutare le nazioni in via di sviluppo a raggiungere il più rapidamente possibile un tenore di vita buono (non lussuoso)…
  • Il genere umano dovrebbe gradualmente ridurre la sua popolazione fino ad un livello in cui l’alimentazione possa essere adeguatamente fornita dalla sola agricoltura organica
  • Fino a che non sia diventato comune l’uso diretto di energia solare o sia ottenuta la fusione controllata, ogni spreco di energia per surriscaldamento, superraffreddamento, superaccelerazione, superilluminazione, ecc. – dovrebbe essere attentamente evitato e, se necessario, rigidamente regolamentato.
  • Dobbiamo curarci dalla passione morbosa per i congegni stravaganti, splendidamente illustrata da un oggetto contradditorio come l’automobilina per il golf, e per splendori pachidermici come le automobili che non entrano nei garage. Se ci riusciremo, i produttori smetteranno di produrre simili “beni“.
  • Dobbiamo liberarci anche della moda, quella “malattia mentale umana”, come la chiamò l’abate Fernando Galliani nel suo celebre Della Moneta (1750). E’ veramente una malattia della mente gettar via una giacca o un mobile quando possono ancora servire al loro scopo specifico. Comprare un’automobile “nuova” ogni anno e arredare la casa ogni due è un crimine bioeconomico. E’ stato già proposto di fabbricare gli oggetti in modo che durino più a lungo. Ma è ancor più importante che i consumatori si rieduchino da sè così da disprezzare la moda. I produttori dovranno allora concentrarsi sulla durabilità.
  • e strettamente legato al precedente, è la necessità che i beni devono essere resi più durevoli tramite una progettazione che consenta poi di ripararli.
  • Dovremmo liberarci dalla “sindrome circolare del rasoio elettrico”, che consiste nel radersi più in fretta per avere più tempo per lavorare ad un rasoio che permetta di radersi più rapidamente ancora, in maniera da avere ancora più tempo per progettare un rasoio ancora più veloce, e così via all’infinito. Questo cambiamento richiederà una buona dose di autocritica e un gran numero di ripudi da parte di tutti quegli ambienti professionali che hanno attirato l’uomo in questa vuota regressione senza limiti. Dobbiamo renderci conto che un prerequisito importante per una buona vita è una quantità considerevole di tempo libero trascorso in modo intelligente…”

Tratto da: Bioeconomia. Verso un’altra economia ecologicamente e socialmente sostenibile. A cura di Mauro Bonaiuti. Torino, Bollati Boringhieri, 2003

Decroissance et Developpement durable

Institut d’études économiques et sociales
pour la décroissance soutenable

A bas le développement durable ! Vive la décroissance conviviale !

«Il n’y a pas le moindre doute que le développement durable est l’un des concepts les plus nuisibles». Nicholas Georgescu-Roegen, (correspondance avec J. Berry, 1991) (1).

On appelle oxymore (ou antinomie) une figure de rhétorique consistant à juxtaposer deux mots contradictoires, comme «l’obscure clarté», chère à Victor Hugo, «qui tombe des étoiles…». Ce procédé inventé par les poètes pour exprimer l’inexprimable est de plus en plus utilisé par les technocrates pour faire croire à l’impossible. Ainsi, une guerre propre, une mondialisation à visage humain, une économie solidaire ou saine, etc. Le développement durable est une telle antinomie.

En 1989, déjà, John Pessey de la Banque mondiale recensait 37 acceptions différentes du concept de «sustainable development» (2). Le seul Rapport Bruntland (World commission 1987) en contiendrait six différentes. François Hatem, qui à la même époque en répertoriait 60, propose de classer les théories principales actuellement disponibles sur le développement durable en deux catégories, «écocentrées» et «anthropocentrées», suivant qu’elles se donnent pour objectif essentiel la protection de la vie en général (et donc de tous les êtres vivants, tout au moins de ceux qui ne sont pas encore condamnés) ou le bien-être de l’homme (3).

http://www.decroissance.org/index.php?chemin=textes/latouche

un extrait de NOTRE PAIN QUOTIDIEN